Alessandro Santin è italiano, ma da molti anni vive negli Stati Uniti dove è co-responsabile della divisione di Oncologia ginecologica e a capo del Disease Aligned Research Team del Cancer center alla Yale University di New Haven.
La sua posizione è netta:
il plasma dei pazienti convalescenti, carico di anticorpi neutralizzanti, è lo strumento che può fare da ponte per proteggere le decine/centinaia di migliaia di persone infette o che si infetteranno nei prossimi mesi.
È un appello al suo Paese di origine, dove peraltro è già partito un progetto — capofila il Policlinico San Matteo di Pavia — per la raccolta del plasma iperimmune.
Lettore video di: Mediaset (Informativa sulla privacy)
Pratiche di routine
«La seconda ondata dell’epidemia, dopo la riapertura, potrebbe essere ancora più terribile della prima — prosegue Santin — e dobbiamo essere pronti a fronteggiarla con delle armi più efficaci di quelle che abbiamo avuto a disposizione finora in Italia.
Sia la raccolta che l’infusione di plasma sono pratiche di routine in medicina, ben tollerate e con rischi estremamente bassi.
La pratica è stata attivata negli Usa, su tutto il territorio nazionale, in meno di due settimane per contrastare nei tempi più brevi possibili la letalità di Covid in quel 20% della popolazione che sviluppa la forma severa, spesso letale, della malattia.
Sono stati pubblicati due studi su Jama e Pnas: dei 15 pazienti considerati, tutti con infezione grave, tutti sono sopravvissuti.
Peraltro i pazienti con forme severe sono i più difficili da trattare dato che l’immunizzazione passiva (con anticorpi cosiddetti “neutralizzanti”) è meno efficace rispetto al suo uso nelle fasi iniziali dell’infezione virale».