Tra tutte le attività che chiedono a gran voce di ritornare ad aprire le saracinesche ci sono i ristoranti e gli alberghi.
In particolar modo, i primi, nella tabella di riferimento sono stati catalogati tra le aziende a rischio alto di contagio, pertanto non sarà così immediata la riapertura e, qualora dovesse avvenire intorno al 18 maggio, le regole saranno davvero stringenti, senza possibilità di sgarrare.
Basteranno davvero 2 metri di distanza a limitare la diffusione del virus?
Per rispondere a questa domanda è stata osservato il caso di un ristorante di Guangzhou, in Cina, analizzando un pranzo avvenuto nello scorso gennaio: un commensale, infettato dal Coronavirus, (ma non ancora sintomatico) pare aver diffuso la malattia ad altre 9 persone.
C’erano altri 73 commensali quel giorno sullo stesso piano del ristorante, ma loro non si sono ammalati. E nemmeno gli otto camerieri in turno in quel momento.
Tutte le persone che sono state contagiate erano allo stesso tavolo della persona infetta o in uno dei due tavoli vicini sulla linea di corrente del condizionatore, in una stanza senza finestre.
E dunque la domanda sorge spontanea: l’aria condizionata può davvero essere causa di contagio da COVID-19?
I campioni prelevati dal condizionatore d’aria del ristornate cinese in questione, tre dall’uscita e tre dall’ingresso dell’aria, sono risultati negativi.
Il fattore chiave per l’infezione è stata la direzione del flusso d’aria, hanno scritto gli autori dell’analisi.
Le goccioline respiratorie più grandi, peraltro, dovrebbero rimanere nell’aria solo per un breve periodo e viaggiare solo per brevi distanze.
Tuttavia, un forte flusso d’aria proveniente dal condizionatore potrebbe aver propagato le goccioline verso il tavolo dove erano presenti i commensali. Difatti, le cariche di virus possono rimanere nell’aria e percorrere lunghe distanze, fino addirittura a 8 metri.
Cosa significa questo?
I sistemi di ventilazione possono creare schemi complessi di flusso e mantenere le particelle aerosol virali sospese più a lungo, quindi la distanza minima (2 metri) potrebbe non essere sufficiente per salvaguardare gli avventori virali.
È anche vero che mangiare allo stesso tavolo è un tipo di attività particolarmente “a rischio”: tanto tempo passato vicini, goccioline che possono essere espulse nell’aria respirando e parlando (non solo attraverso tosse e starnuti) e mancanza di mascherine, nel caso del ristorante cinese in questione.
Per prevenire la diffusione di COVID-19 nei ristoranti, si consiglia comunque di rafforzare la sorveglianza del monitoraggio della temperatura, aumentare la distanza tra i tavoli e migliorare la ventilazione, concludono gli studiosi cinesi.
Sarà davvero sufficiente?